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Nel 1961 gli Internazionali d'Italia si trasferirono a Torino per celebrare il Centenario dell’Unità d’Italia e Pietrangeli, l’azzurro più forte di sempre, allora n.1 sulla terra battuta, battè in finale l’australiano Rod Laver che poco dopo avrebbe completato il suo primo Grande Slam
di Enzo Anderloni | 01 aprile 2023
Nel maggio del 1961 si festeggiava il Centenario dell’Unità d’Italia con un’edizione straordinaria dei Campionati Internazionali di tennis, che per l’occasione si trasferirono “una tantum” da Roma a Torino, capitale del primo Regno d’Italia.
E l’eccezionalità dell’evento venne sancita da una finale indimenticabile tra il giocatore italiano più forte di sempre, Nicola Pietrangeli, e quello che viene da tanti ancora considerato il tennista più forte di sempre, l’australiano Rod Laver, unico nella storia capace di completare due volte il Grande Slam (1962 e 1969). Fu l’apice del grande tennis e l’Italia potè celebrare il Centenario con un trionfo tricolore.
L’idea di grandi festeggiamenti per il Primo Centenario dell’Unità d’Italia prende forma nel 1958, con una proposta di legge per un primo contributo economico, ma viene definitivamente battezzata nel Consiglio dei Ministri del 20 agosto 1960.
Sono coinvolte tante città italiane, grandi e piccole, ma il centro di tutto è Torino, simbolo del ‘miracolo economico’ italiano. Il Comitato Italia ‘61, il cui consiglio direttivo è presieduto dal ministro Giuseppe Pella e al cui interno hanno ruoli fondamentali l’allora sindaco di Torino Amedeo Peyron e il pioniere della cardiochirurgia Achille Mario Dogliotti, vara un progetto che prevede tre grandi mostre nel capoluogo piemontese: la Mostra Storica dell’Unità d’Italia, la Mostra delle Regioni Italiane e la Mostra Internazionale del Lavoro – Torino 1961 che passerà poi alla storia come Expo 1961 o Italia ’61, per la grandiosità delle iniziative.
In occasione del grande evento viene migliorata l’illuminazione pubblica e vengono realizzate grandi opere come il nuovo Palazzo del Lavoro (disegnato da Pier Luigi Nervi con Giò Ponti e Gino Covre) e il Palazzo a Vela (originariamente Palazzo delle Mostre), ripreso e modificato nel 2003 dall’architetto Gae Aulenti per ospitare le gare dei Giochi Olimpici Invernali del 2006. Prende persino vita un nuovo quartiere della città, lungo le rive del Po, proprio con il nome di Italia ’61.
Promotore del versante sportivo delle celebrazioni era Umberto Agnelli, già presidente della Juventus a soli 22 anni, con il supporto di Felice Borel, il mitico ex centravanti bianconero detto “farfallino”. Furono loro a dialogare con la FIT, allora presieduta da Giorgio De Stefani, per l’organizzazione di un’edizione dei Campionati Internazionali d’Italia che rimanesse unica e memorabile.
Come sede venne individuato il Circolo Stampa Sporting che nel suo Campo Centrale, intitolato a Elisio Viberti, aveva già ospitato al tempo più di un match di Coppa Davis, l’ultimo dei quali nel 1960 contro il Cile del fortissimo Luis Ayala.
In quel 1961 le celebrazioni per la Festa della Repubblica, il 2 giugno, si svolsero a Torino anziché a Roma. E anche il Giro d’Italia partì nella città dove 100 anni prima Vittorio Emanuele II aveva proclamato il Regno d’Italia.
Il torneo di tennis fu un grande successo sul piano organizzativo come testimonia questo passaggio dell’editoriale di Umberto Mezzanotte sulla rivista Il Tennis Italiano del maggio 1961: “Il pubblico torinese è accorso attorno ai rettangoli rossi di giuoco in misura del tutto superiore al previsto, tantochè vi sono stati degli incontri - e di notevole importanza - che hanno potuto essere seguiti solo da una parte degli spettatori presenti nel recinto di Corso Giovanni Agnelli […] Tanto che Felice Borel si rodeva le unghie per non aver aumentato la capienza delle tribune per i campi 1 e 2”. L’incasso finale superò i 9 milioni di lire, contro i 6 milioni circa dell’edizione 1960 a Roma.
Il successo della parte tecnica fu ancora più grande, perché il torneo maschile si concluse, come anticipavamo, con una finale da sogno, la migliore possibile al tempo, quella tra Nicola Pietrangeli e l’australiano Rod Laver.
“Mi fa piacere poter tornare a parlare di quell’epoca perché oggi sembra esistere solo l’Era Open (quella dal 1968 in poi, con i tornei aperti a dilettanti e professionisti insieme n.d.r). Sembra che non ci sia stato niente prima - attacca Pietrangeli -. Quando dicono che ho vinto Parigi due volte non dicono mai che ho giocato anche altre due finali. È una cosa che mi dà molto fastidio. È come se Bartali e Coppi non avessero mai corso in bicicletta. Eppure c’è uno stadio che porta il mio nome, sono Grande Ufficiale, sono l’unico tennista italiano nella Hall of Fame di Newport e ho il record di partite giocate in Coppa Davis. Questo solo per arrivare al fatto che nel 1961m ero il n.1 del mondo sulla terra battuta. Allora i 10 giornalisti più importanti del mondo a fine anno stilavano due graduatorie: una per la terra rossa e l’altra per erba e cemento. Io per due anni sono stato n.1 sulla terra battuta e n.3 considerando entrambe le superfici. E a Torino c’erano tutti più forti”.
Entriamo nelle fasi calde del torneo…
“Nei quarti di finale ho battuto lo svedese Ulf Schmidt, un tipo niente male. Era uno dei pochi svedesi simpatici, molto bravo sui campi indoor. Uno che tirava forte. Gli svedesi allora erano tutti nati e cresciuti sui campi veloci perché da loro si giocava praticamente solo al coperto. Schmidt era un giocatore vero, molto solido, che non si lasciava battere facilmente. Ma sulla terra battuta ero a casa mia. Poi in semifinale mi toccò l’australiano Roy Emerson, davvero fortissimo. Finché non arrivò Pete Sampras l’ha avuto ‘Emmo’, il record di Slam vinti, 12. Però giocare contro di lui mi piaceva, perché si lanciava sistematicamente all’attacco e subiva il mio pallonetto. Serviva, faceva la prima volée epoi si attaccava letteralmente alla rete. E io regolarmente lo ‘lobbavo’. Finì 6-4 6-4 6-2, eppure non era proprio l’ultimo arrivato. Aveva appena vinto i campionati britannici su terra battuta a Bournemouth”.
E dall’altra parte del tabellone?
“Io ero nella parte alta; sotto c’era Neale Fraser: uno che ha vinto tutto, Wimbledon, Forest Hills, i campionati d’Australia. Allora era considerato il n.1 del mondo. A Torino arrivò nei quarti di finale e lì perse con lo spagnolo Manuel ‘Manolo’ Santana, allora giovane emergente sulla terra battuta”.
Poi però Santana si trovò davanti Rod Laver che a 22 anni aveva già vinto, nel 1960, uno Slam in Australia e raggiunto la finale a Wimbledon. Battendo proprio Pietrangeli in semifinale.
“Quella volta a Wimbledon ero avanti 2 set a 1, poi mi riprese. Ma perse con Fraser in finale”.
A Torino invece…
“Nel primo set ero sotto 1-5 e ho rimontato fino a 5-5. Poi lui ha chiuso 8-6. La gente forse si aspettava che subissi il contraccolpo in quel momento difficile. Invece poi gli ho fatto fare quattro game in tre set (6-8 6-1 6-1 6-2 fu il risultato finale). Ancora adesso, quando ci si vede con altri amici, Laver dice sempre: per fortuna che con Nicola sulla terra battuta ho giocato solo una volta”.
Gli @InteBNLdItalia e quella finale persa contro Pietrangeli: quanti ricordi ha condiviso con noi Rod Laver!??https://t.co/URRo8M4hJG #ibi17 pic.twitter.com/6VwIF4ARIN
— SuperTennis TV (@SuperTennisTv) May 19, 2017